mercoledì 1 febbraio 2012

SWINGING SIXTIES

SWINGING SIXTIES
I FAVOLOSI ANNI SESSANTA
































Swinging Sixties, i Ritmati Anni Sessanta: sono gli anni della contestazione giovanile, della critica alla società patriarcale e consumistica, gli anni dei media, della cultura pop e della minigonna. In piena Guerra Fredda e con il peso di una potenziale guerra atomica sulle spalle, la generazione più giovane fa sentire la propria voce. E' la Youthquake della Beat Generation, parola coniata dalla direttrice di Vogue Diana Vreeland nel '63, formata da youth, giovani, e quake, terremoto.






















 Gli idoli cambiano, le radio pirata, come la Swinging Radio England da cui deriva la definizione del decennio, propongono una nuova musica, quella dei Beatles e dei Rolling Stones, dei Kinks e degli Who. Anche le donne abbandonano la classica etichetta formale in favore di una maggiore espressione di sè e della propria libertà.




Le irraggiungibili bellezze Hollywoodiane non sono più un mito da inseguire, mentre invece le modelle dell'epoca, come Twiggy, Jean Shrimpton e Veruschka, con i loro fisici esili sono così simili a quelli delle ragazzine di mezzo mondo.










Il rinnovamento generazionale trova il suo apice nelle strade di Londra, le quali, per la prima volta, sono il motore delle nuove tendenze. La moda nasce dal basso, da quei luoghi come Carnaby Street, fucina di idee e nuovi talenti.






Proprio qui, Mary Quant rivoluziona il modo di vestire delle giovani donne: crea la minigonna. Anzi, più che creare, si può dire che accorcia l'orlo delle gonne, in realtà non così tanto come si potrebbe immaginare, appena due dita sopra il ginocchio. Ma quei pochi centimetri di pelle in più scoperta suscitano parecchie reazioni, negative e di sdegno da parte dei conservatori e di totale apprezzamento da parte delle giovani.


La minigonna diventa il simbolo di questa generazione e di conseguenza nascono nuove eigenze, come la necessità di utilizzare non più calze ma collant, che vedono lo sviluppo di nuovi materiali e tecnologie.




Mentre l'Inghilterra è in fermento, da Parigi iniziano a sfilare nelle passerelle nuove linee e concetti di abiti di quegli stilisti che sono attenti ai movimenti underground internazionali. La linea a trapezio spopola, nonostante sia un tipo di abito in cui il punto vita è completamente ignorato e le forme nascoste dalla forma svasata. L'attenzione e la ricercatezza sta nelle fantasie e nei materiali: se Courrèges sperimenta attraverso materiali polimerici linee geometriche e temi spaziali (da non dimenticare le conquiste della scienza del tempo, il primo uomo nello spazio e le prime missioni lunari), Paco Rabanne suggerisce il metallo al posto dei tessuti e Yves Saint Laurent esplora il mondo dell'arte rendendola fruibile attraverso i capi d'abbigliamento.










L'arte, e soprattutto la Pop Art e l'Op Art, influenzano molto lo stile del periodo. I due più influenti esempi sono Andy Warhol e Bridget Riley. Warhol tramuta il concetto di arte in prodotto di massa, elevando lo status di molti oggetti comuni, quali le lattine di zuppa Campbell's, riportate anche su di un abito di carta, il cui senso dell'effimero è esso stesso arte.


 Inoltre, con la sua Factory, precede i vari livelli di nuove libertà, collaborazione e interscambio artistico, e creerà la prima vera it-girl, Edie Sedgwick.


















 La Riley, invece, suggerisce delle riproduzioni del movimento attraverso il colore, risultando la massima esponente dell'Op Art a livello mondiale, anche se spesso criticata dai sui colleghi a causa della strumentalizzazione a scopi economici delle sue opere.


La moda diventa dunque interdisciplinare più che mai, fornendo una possibilità di libera interpretazione come non era mai stato possibile fino ad allora. La moda si fa più accessibile. Infatti, gli indumenti iniziano ad esser prodotti industrialmente e il concetto di "vestito buono" e la rigida distinzione in base all'occasione d'uso va via via scemando. La distinzione di classe sociale non sta più nella foggia dell'abito, ma nella qualità di realizzazione. L'aspetto esteriore di un indumento ne diventa il fulcro: nasce il concetto di abito come status symbol, aspetto che in un universo di produzione di massa si distigue con la griffe.


Negli anni Sessanta, tuttavia non si possono dimenticare due figure chiave a livello mondiale, una statunitense e una britannica, che invece hanno continuato a promuove un'elegaza e uno stile così ricercato da essere un punto di riferimento in fatto di moda, in quanto erano capaci di declinare le tendernze in maniera bonton: Jackie Kennedy e Audrey Hepburn. La prima fa sognare con tailleurini dai colori pastello abbinati a cappellini e guanti da vera first lady, la seconda ha fatto innamorare con le sue mise sempre perfette, consacrandonell'olimpo della moda  il little black dress di Hubert de Givenchy indossato nel film Colazione da Tiffany nel 1961.



 
Consigli Pratici: per un look alla beat generation l'imperativo è uno solo:minigonna. Che sia abbinata a una maglietta skinny rib (una maglietta aderente dal tessuto a costine fitte) e a stivaletti ultra-piatti o che sia in realtà un abitino atrapezio un po' pop dalle linee geometriche e i colori sgargianti con ai piedi delle ballerine con tacchetto squadrato, la scelta a voi. Purchè sia almeno due dita sopra il ginocchio.



 Ma se si vuole imitare la classe di Audrey o Jacky, via libera a colori pastello e linee asciutte, tradotte in tailleur o in abitini bon ton.




I dettagli impreziosiranno in look: capelli corti o caschetto, gioielli geometrici in resine plastiche completeranno il tutto.



E perchè no? Un bel paio di occhiali da sole, optical e dalle linee un po' spaziali!















tutte le immagini di questo post sono frutto di un ricerca su google images, pertanto si ringraziano gli autori di tali immagini. all images in this post were found on google images, therefore we thank the authors for those images.

1 commento:

  1. Li amo terribilmente! E la scelta delle immagini è davvero rappresentativa!

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